Dai primi “vitigni resistenti” ad oggi
Con il proseguire delle sperimentazioni, nel periodo tra il 1970 e il 1980, presso l’Istituto di Viticoltura di Friburgo, in Germania, si ottennero i primi vini ritenuti di qualità apprezzabile per poter entrare sul mercato. Fu proprio la scuola di Friburgo a dare vita ai primi Pilzwiderstandsfähige, parola che può essere tradotta con l’espressione “vitigni resistenti”, o, più semplicemente, con il più noto acronimo “PIWI”.
Questa nuova tendenza iniziò a diffondersi velocemente in Europa e, verso la fine degli anni Novanta, prese piede anche in Italia con i primi impianti sperimentali fra il Trentino e l’Alto Adige.
In Trentino sono numerose le aziende che, fin dai primi tempi, hanno sperimentato la coltivazione, l’uso e la vinificazione di questi vitigni, forti anche del supporto e dell’attività della Fondazione Edmund Mach, ente di ricerca che per vocazione sostiene indagini di campo e sperimentazione.
Una soluzione sostenibile
I motivi per cui tante aziende locali si stanno avvicinando a queste coltivazioni sono fondamentalmente tre e sono tutti strettamente legati al tema della sostenibilità, storicamente fondante per il Trentino, ormai diventato un vero e proprio driver decisionale anche per le aziende del territorio.
La forte riduzione dei trattamenti fitosanitari richiesti da questi vigneti impatta innanzitutto sull’aspetto sanitario, rendendo queste coltivazioni più adatte alle zone direttamente confinanti con i centri abitati e i parchi. Considerato poi che i trattamenti fitosanitari sono le operazioni agronomiche più onerose, l’utilizzo di vitigni resistenti porta ad un risparmio economico per i viticoltori. Infine, l’utilizzo di questi vitigni, bisognosi di minori cure, contribuisce a salvaguardare la coltivazione della vite anche in zone più difficili da raggiungere, preservando, di conseguenza, l’ecosistema agricolo oltre che l'ambiente tutto.